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Legittima difesa? La storia di Bernie Goetz, giustiziere

Dove racconto un fatto di cronaca del 1984 e le sue peculiari ripercussioni mediatiche, perché violenza armata e pregiudizio razziale non passano mai di moda

29 febbraio 2024

È il 22 dicembre 1984. Bernhard Goetz, 37enne con una laurea in ingegneria elettronica e nucleare, prende la metropolitana a Manhattan. Quattro ragazzi di colore, tra i 18 e 19 anni, si avvicinano chiedendogli 5 dollari. Non sanno che tre anni prima, sempre nella metropolitana newyorkese, Bernie era stato aggredito, picchiato e derubato da tre giovani. Non sanno che Bernie, per quanto figlio di immigrati tedeschi, si è bene integrato con lo spirito americano e con l’esaltazione del secondo emendamento e, dopo quella prima disavventura, ha comprato in Florida una calibro 38 e se la porta illegalmente in tasca. Carica.
Bernie non prende bene la richiesta dei ragazzi: tira fuori la pistola e, con quattro o cinque colpi in rapida successione, ferisce tutti e quattro. A uno di loro, Darrell Cabey, restano una paralisi e un danno cerebrale irreversibili.

Un titolo di giornale recita 'Subway Vigilante'
Screenshot dal trailer ufficiale di Trial by Media di Netflix, da YouTube (il titolone è da una prima pagina del New York Post)

Sulla stampa e nel cinema

La criminalità a New York negli anni ’80 era ai livelli della Gotham City peggiore. La gente non ne poteva più, viveva tra la paura dei delinquenti e la rabbia per l’inefficienza delle forze dell’ordine, e quando il caso di Bernhard Goetz apparve sulla stampa (che gli diede il soprannome di “Subway Vigilante”, il vigilante o giustiziere della metro), in tanti si identificarono con lui e ne fecero un eroe.
Un altro soprannome diffuso sulla stampa era Death Wish, dal film del 1974 (in Italia Il giustiziere della notte) in cui Charles Bronson interpreta un uomo tranquillo che, in seguito all’omicidio della moglie e allo stupro della figlia, si trasforma in anonimo vendicatore che vaga per New York di notte alla ricerca di assassini da giustiziare.
Sembra inoltre che la vicenda di Bernhard Goetz abbia ispirato Un giorno di ordinaria follia (Falling Down), il film del 1993 in cui Michael Douglas ha una brutta giornata e si dà alla violenza. Non solo: pare che il nostro vigilante della metro sia stato di grande ispirazione per il film Joker del 2019 con Joaquin Phoenix.

Joaquin Phoenix nei panni di Joker
Joaquin Phoenix nei panni di Joker in una foto incredibilmente royalty free, da Pxfuel

La vicenda, inoltre, accadeva negli anni in cui Rupert Murdoch costruiva il suo impero mediatico: diventato proprietario del New York Post, lo stava trasformando in un tabloid dai toni sensazionalistici. E i titoloni aggressivi e le storie di crimine vendono bene.

I sostenitori

Tra i vari sostenitori di Bernie spiccarono i Guardian Angels, organizzazione di volontari per la sicurezza pubblica, fondata da Curtis Sliwa nel 1979 nel Bronx, che all’epoca pattugliava le linee metropolitane della città proprio con lo scopo di prevenire e combattere il crimine.
Si fece sentire anche la National Rifle Association, l’organizzazione per i diritti civili dei possessori di armi da fuoco, perché — è logico! — se ciascuno di noi avesse un’arma con sé in ogni momento, avremmo perlomeno la possibilità di sparare a un altro prima che l’altro spari a noi.

Due immagini da una conferenza stampa dell'NRA
Screenshot dalla docuserie Netflix Trial by Media, episodio 2, “Subway Vigilante”.
L’unica cosa che può fermare un cattivo con una pistola è un buono con una pistola.

L’NRA che espone la propria visione schematica della vita a una conferenza stampa in seguito al massacro alla Sandy Hook Elementary School (2012), nel quale un ventenne aprì il fuoco uccidendo 20 bambini e 6 dipendenti della scuola elementare, oltre alla propria madre.

Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora

Fabrizio De André, La guerra di Piero (1964), la storia di uno che se avesse ascoltato i consigli della voce narrante, oggi non dormirebbe sepolto in un campo di grano (ma avrebbe un omicidio sulla coscienza).

Darrell Cabey

Gli spari di Goetz mandarono Darrell Cabey in coma per un paio di mesi. Il ragazzo, colpito alla spina dorsale, rimase paralizzato dalla vita in giù e con danni cerebrali irreversibili. Dieci anni dopo la sparatoria, aveva 29 anni anni e la capacità mentale di un bimbo di 8. Viveva sempre con la madre Shirley in una casa popolare nel Bronx.
Gli altri tre ragazzi sembrano aver proseguito, nei decenni successivi, le loro vite problematiche, tra abusi di droghe e incarcerazioni e, ad oggi, due di loro sono morti, ben prima di compiere sessant’anni.

Immagine da un'intervista a Bernhard Goetz
Screenshot da YouTube

Il verdetto

L’entusiasmo per l’eroico giustiziere si assottigliò leggermente quando cominciarono a diffondersi i dettagli dell’evento e alcune dichiarazioni sanguinarie di Bernie. I ragazzi non erano armati e, per quanto avessero intenzione di derubarlo, al momento della sparatoria non lo avevano minacciato in alcun modo. In più, uno di loro venne colpito al fianco e un altro alla schiena: segno che si stavano girando per scappare. Non proprio un pericolo imminenete. E avere la pelle nera non dovrebbe essere, di per sé, una minaccia all’incolumità individuale tale da giustificare un tentato omicidio.
Sta di fatto che al processo penale, in cui Bernie affrontava numerose accuse tra cui tentato omicidio e aggressione, venne assolto su tutta la linea (tranne per il porto abusivo di arma da fuoco, per il quale fece 8 mesi di carcere) perché le sue azioni vennero considerate una legittima difesa dalla giuria (composta prevalentemente da bianchi di Manhattan, ma sarà un caso).

Guarda, se avessi avuto più proiettili, gli avrei sparato ancora e ancora. Il problema è che ho finito i proiettili.

Dichiarazione da un interrogatorio di Bernhard Goetz poco dopo l’arresto (traduzione mia)

Su Netflix

La storia di Bernhard Goetz è raccontata, con particolare attenzione a come fu riportata dai media e vissuta dall’opinione pubblica, nel secondo episodio della docuserie Netflix Processi Mediatici (Trial by Media, 2020).
Con una tragica simmetria, l’episodio successivo tratta di un caso avvenuto nel Bronx nel 1999, in cui quattro poliziotti bianchi spararono 41 colpi (quarantuno!) contro un ragazzo di colore, non armato, che se ne stava davanti alla porta di casa. La loro difesa? Era un quartiere pericoloso, era notte, erano spaventati. Sembra evidente, a questo punto, che i bianchi abbiano diritto ad agire in base alla paura più di quanto i neri abbiano diritto alla propria vita, perché tutti e quattro i poliziotti, al processo, furono assolti in pieno. La morte di Amadou Diallo, studente dalla Guinea di 23 anni colpito da 19 proiettili, rimase senza colpevoli.

Immagine da una manifestazione in onore di Amadou Diallo
“I poliziotti hanno sparato 41 colpi”.
Manifestazione di protesta contro la brutalità della polizia, in onore di Amadou Diallo, davanti alla Casa Bianca nel 1999 (foto di Elvert Barnes da Flickr, CC BY-SA 2.0).

Ma parliamone

Certo, la paura, e la rabbia, e la frustrazione della gente comune nei confronti della criminalità sono più che comprensibili. Ma davvero si rende necessario prendere la giustizia nelle proprie mani e ricorrere alla brutalità? E davvero intervenire a pistole spianate in situazioni di crimine, disagio e diseguaglianze sociali, è la soluzione?
Anche perché sì, la criminalità e il pericolo di essere derubati e aggrediti sono problemi reali. Erano possibilità molto concrete nella New York di quegli anni. Ma va detto che la paura è alimentata dai media, che riportano ben volentieri le notizie più violente e sconvolgenti, perché devono scioccare più della concorrenza.
Sarà che io, più che un Bernie con la pistola carica in tasca, mi identifico con un Piero che vorrebbe evitare di vedere gli occhi di un uomo che muore, — ma continuo a pensare che la sicurezza personale sia un bisogno essenziale e sacrosanto per tutti, e non per alcuni, e ho l’impressione che quella rabbia, che ci viene così facile sommare alla fobia del diverso, sarebbe meglio sfruttata se diretta altrove.

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Fonti

L’immagine in alto è di Mollie Sivaram da Unsplash.

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