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Antoine Volodine e tutti gli scrittori post-esotici

Alla scoperta di uno scrittore francese e della sua incontenibile passione per il Libro tibetano dei morti e i regimi comunisti

13 gennaio 2024

Antoine Volodine, dice la sua pagina sul sito de L’orma editore, “è il più inclassificabile degli scrittori francesi contemporanei”. Evidentemente esiste una classifica degli scrittori francesi contemporanei più inclassificabili, e il nostro si è classificato primo.

Antoine Volodine
Antoine Volodine in uno screenshot da YouTube.

Tra Russia, Asia e Sudamerica

È autore di oltre una ventina di opere pubblicate in Francia, circa la metà delle quali sono state tradotte in italiano: Terminus radioso, Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, Gli animali che amiamo, Sogni di Mevlidò, Streghe fraterne, Le ragazze Monroe (66thand2nd), Angeli minori (L’orma editore), Lisbona ultima frontiera e Scrittori (Edizioni Clichy).
La Wikipedia francese esordisce spiegando che “Antoine Volodine è il principale pseudonimo di un romanziere francese” (traduzione mia).
E neanche francese fino in fondo: perché, si dice, di origini russe, e anche insegnante di russo e traduttore dal russo al francese. Volodin è infatti un cognome russo derivato da Volodya, diminutivo di Vladimir.
Tra le sue possibili influenze si cita la fantascienza russa, così come il “realismo magico del romanzo sudamericano”. Volodine, non a caso, è anche traduttore dal portoghese.
Inoltre, come dice lui stesso, ha vissuto per anni nel sud della Cina, e in Giappone ha approfondito lo shintoismo. Wikipedia sottolinea la sua fascinazione per le culture asiatiche, il buddhismo, e l’influenza del Bardo Thodol.

Il Bardo Thodol

Il bardo (che non è solo una classe di D&D), secondo alcune scuole buddhiste, è uno stato intermedio dopo la morte e prima della rinascita. Non è un posto fisico, ma una fase di trasformazione che avviene nella mente del deceduto. Il Bardo Tödröl Chenmo o Bardo Thodol, meglio conosciuto in Occidente come Libro tibetano dei morti, è un testo tradizionalmente letto ad alta voce alla persona morente o appena deceduta per guidarne lo spirito attraverso questa fase e verso il raggiungimento dell’illuminazione, e dunque la liberazione dal ciclo della rinascita, oppure verso la rinascita successiva.

Thangka tibetano del bardo
Un thangka tibetano (stendardo buddista dipinto o ricamato con temi religiosi) del XIX secolo che rappresenta visioni di divinità serene all’interno del bardo, conservato al Museo Guimet di Parigi (immagine di pubblico dominio, via Wikimedia Commons)

Angeli minori

Di Volodine ho letto Angeli minori (Des Anges Mineurs, 1999). Il romanzo (ammesso che si possa definire tale) è suddiviso in 49 capitoletti: racconti con una propria autonomia ma anche frammenti di una narrazione più ampia, che condividono la stessa assurda ambientazione e dove alcuni dei personaggi ricorrono. Ogni capitolo ha per titolo il nome e cognome di un personaggio. Il narratore, invece, che spesso resta indeterminato, in alcuni episodi usa la prima persona e si identifica di volta in volta con un personaggio differente. Come se assumesse identità intercambiabili, come se il senso del sé risultasse sfumato con lo scenario. Che è un luogo indefinibile, che potrebbe essere tra l’Occidente e l’Asia, tra l’immensità della taiga e gli incroci di viali francesi, tra yurte circondate da prati e cammelle e palazzoni in rovina. Tutto avvolto da un senso di decadenza, di abbandono, solitudine, sporcizia. E altrettanto indefinibile è l’epoca, il momento storico, lo scorrere del tempo. Un libro in cui lo spazio e il tempo sono assurdi come nei sogni. È al di là della fantascienza, del distopico, del post-apocalittico. C’è del realismo magico, ma tutto quello che negli autori sudamericani appare vivo, pulsante, colorato, in Volodine è spento, deteriorato, moribondo. A me ha fatto pensare a un’intersezione particolarissima tra Cronache marziane, Cent’anni di solitudine, e un bizzarro inferno dantesco.
Tre fun fact a caso: Dei 49 personaggi che danno il nome ai capitoli, tre sono animali: un uccello trampoliere, un cane, e un’allodola della steppa. La parola capitalismo, capitalista o capitalisti è ripetuta complessivamente 27 volte in tutto il libro. La durata massima del bardo, secondo alcuni testi buddhisti, è di 49 giorni (sette settimane), e il 49 ricorre nelle opere di Volodine per questo motivo e a simboleggiare un viaggio o percorso di trasformazione.

Copertina di Angeli minori
La bellissima copertina di Angeli minori, 2016, L’orma editore (le copertine delle altre edizioni francesi, inglesi, ecc. sono decisamente più brutte).

Niente di distopico

In un’intervista, a una domanda sul perché scriva distopie, Volodine risponde:

Niente di distopico [...]. Soltanto una visione onirica del nostro immane fallimento collettivo.

E più avanti, parlando del movimento post-esotico:

Tutti i nostri libri prendono le mosse dalla constatazione che ormai la partita è persa, che si è trattato di una lotta entusiasmante e ideologicamente nobile e irreprensibile, ma che ha portato a una sconfitta. Alludo alla lotta che aveva come obiettivi la dignità e un futuro di luminosa felicità per l’uomo, un egualitarismo radicale, la scomparsa delle diseguaglianze e di ogni forma di oppressione. La sconfitta è totale [...]
l’umanità ha perso la sua ultima occasione per intraprendere un sentiero glorioso, e oggi si avvia verso la fine. I paesaggi della fine, che si ritrovano tanto spesso nella nostra letteratura (rovine, paesaggi desertici, città devastate, popolazioni decimate o erranti, paesaggi del Bardo, ovvero del post-mortem), sono la naturale proiezione della loro visione storica del mondo.

In un’altra afferma:

[I nostri personaggi protagonisti] hanno partecipato a una feroce lotta armata contro il sistema capitalista in generale, e si rifanno a un’ideologia che può essere definita, all’incirca, comunista, libertaria ed egualitaria. Senza fare affidamento sui regimi comunisti degenerati, come ha mostrato l’Unione Sovietica in primo luogo, ne hanno condiviso i sogni fondanti, la concretizzazione storica di una società egualitaria, fantasticata nella forma di una vasta comune globale di lavoratori, felice, fraterna e senza conflitti. L’immaginario post-esotico rimanda a questa utopia, mai avveratasi, mai messa in pratica, e al contempo rimanda anche a un’amarezza di fondo: il sogno è irrealizzabile, ma bisogna crederci disperatamente, e sempre, altrimenti la lotta non avrebbe alcun senso.
Foto di edificio abbandonato
Foto di Oleksandra Bardash da Unsplash, scattata a Pryp"jat nell’oblast’ di Kiev in Ucraina, città abbandonata dopo il disastro nucleare di Černobyl’ (1986).

Gli scrittori post-esotici

Volodine è “Fondatore del movimento post-esotico”, come riporta la sua pagina sul sito dell’editore 66thand2nd. Lui stesso ne parla in questi termini:

Il post-esotismo si è sviluppato [...] negli anni Ottanta, e poi [...] nel corso dei successivi vent’anni, attraverso le voci di più autori: Lutz Bassmann, Manuela Draeger, Elli Kronauer e Antoine Volodine.

In Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima Volodine parla di ulteriori autori, tra cui Ellen Dawkes, Iakoub Khadjbakiro, Erdogan Mayayo, e Yasar Tarchalski. Non mi risulta che questi ultimi abbiano mai pubblicato niente, mentre di Bassmann, Draeger, Kronauer sono usciti, complessivamente, più di 20 libri. In Italia, tradotti, sono stati pubblicati rispettivamente da Edizioni Clichy e 66thand2nd, Undici sogni neri e Black Village di Manuela Draeger e Lutz Bassmann.
Il termine post-esotismo è stato coniato dallo stesso Volodine: “nacque per scherzo nel 1991, in risposta a un giornalista curioso di sapere a quale genere letterario Volodine preferisse essere ascritto”.

Antoine Volodine
Antoine Volodine in un’apparizione televisiva del 2004 (screenshot da YouTube)

E indovina chi sono Lutz Bassmann, Manuela Draeger, Elli Kronauer...?
Altri pseudonimi, o eteronimi, di Antoine Volodine. Il portavoce di una collettività di cui è unico componente. Un uomo che parla al plurale, uno scrittore che è tutto un movimento letterario.

L’ultimo eteronimo

Che poi, la Wikipedia italiana non lo sa, ma basta consultare quella francese o scavare un pochino, per scoprire che già nel 2010 si sospettava che il suo vero nome fosse Jean Desvignes, e pare essere figlio di Lucette Desvignes, professoressa e scrittrice francese molto prolifica, oggi 97enne, che dal 2008 tiene un blog aggiornato quasi quotidianamente (ad oggi ha 4202 articoli).
Di queste origini russe, di cui spesso si parla, non ho trovato traccia - ma chissà.

Se non ti basta: risorse interessanti per approfondire

Fonti

L’immagine in alto è di Nazary Gerashenko da Unsplash.

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I commenti

Brenor, 01/02/2024

Bellissimo articolo, mi tocca leggere un libro di questo Autore dai mille nomi